Definire Guido Berlucchi un «imprenditore gentiluomo» è (a buona ragione) elogiativo, ma al contempo è anche limitativo. Coglie, sì, un aspetto preminente della sua personalità di uomo d’affari: lo stile garbato del suo modo di fare, privo di quella ruvidità che spesso accompagna gli uomini d’impresa. Sottace però lo specifico della sua esperienza di imprenditore che affonda le radici nella storia di una terra, di una comunità, di una cultura del lavoro e della responsabilità propria del Bresciano.
Originario di Borgonato in Franciacorta ed erede della nobile famiglia Lana de’ Terzi, Guido, classe 1922, punta a riscattare i vigneti di famiglia. Non ha però le competenze tecniche necessarie. Mostra allora una virtù dell’imprenditore avveduto: saper scegliere collaboratori capaci. La conoscenza di un giovane fresco di studi di enologia, Franco Ziliani, gli offre l’opportunità di compiere il salto che voleva far realizzare alla sua azienda. Siamo nel 1954. L’idea vincente di Ziliani è di scommettere sulla qualità. La Francia insegna. L’unica strada per risollevare le sorti della Cantina Berlucchi è affrontare la sfida col nobile Champagne. Ci vogliono sette lunghi anni di esperimenti, di prove, di tentativi, di reperimento di macchinari e materiali vari e, finalmente, nel 1961 c’è il lancio del Pinot di Franciacorta a firma Berlucchi.
Nel 1966 si costituisce la società «Azienda Agricola Guido Berlucchi e C.». I risultati non mancano ad arrivare. Nel 1968 il vino Berlucchi è già tra i più rinomati nel mondo. La produzione s’impenna. Si amplia la proprietà. È una storia di successo, quella di Guido, coronata, in linea di continuità famigliare, da un gesto di generosità che consegna il suo nome alla storia: la creazione il 14 ottobre 2000 della Fondazione Guido Berlucchi. Il fondatore la dota di un cospicuo capitale di 80 miliardi di lire, che attinge dalla sua quota (31%) di partecipazione alla Società omonima.
Inizia allora un’altra storia, sempre nel nome di Guido Berlucchi. La storia della ricerca sul cancro. Con quell’atto testamentario il benefattore ha voluto consacrare il frutto del suo lavoro ad una causa altamente meritoria in favore della sua comunità e dell’intera umanità.